involuzione

involuzione
Poche cose abbiamo imparato dalla storia all'infuori di questa: che le idee si condensano in un sistema di ortodossia, i poteri in una forma gerarchica e che ciò che può ridare vita al corpo sociale irrigidito è soltanto l'alito della libertà, con la quale intendo quella irrequietezza dello spirito, quell'insofferenza dell'ordine stabilito, quell'aborrimento di ogni conformismo che richiede spregiudicatezza mentale ed energia di carattere.
Io sono convinto che se non avessimo imparato dal marxismo a vedere la storia dal punto di vista degli oppressi, guadagnando una nuova immensa prospettiva sul mondo umano, non ci saremmo salvati. O avremmo cercato riparo nell'isola della nostra interiorità o ci saremmo messi al servizio dei vecchi padroni. Ma tra coloro che si sono salvati, solo alcuni hanno tratto in salvo un piccolo bagaglio dove, prima di buttarsi in mare, avevano deposto, per custodirli, i frutti più sani della tradizione intellettuale europea: l'inquietudine della ricerca, il pungolo del dubbio, la volontà del dialogo, lo spirito critico, la misura nel giudicare, lo scrupolo filologico, il senso della complessità delle cose.
Norberto Bobbio

venerdì 20 dicembre 2013

SUL FILO DEL RASOIO

Si è tenuta la scorso 7 novembre a Bologna una conferenza di Luciano Vasapollo, professore di Metodi di Analisi dei Sistemi Economici alla Sapienza-Università di Roma e, inoltre, professore all’Università de La Habana (Cuba) e all’Università Hermanos Saìz Montes de Oca di Pinar del Rio (Cuba). La serata – organizzata dalla Rete dei Comunisti di Bologna e aperta dal poeta argentino Hector Celano - ha voluto proporre una riflessione sull’Alleanza bolivariana dei popoli di Nuestra America (ALBA).
Una realtà difficile quanto ricca di opportunità
Ha introdotto i relatori Francesco Olivo, membro del Coordinamento dei giovani della Rete dei Comunisti. Egli ha voluto sottolineare come i movimenti di trasformazione sociale – di fronte all’incisiva offensiva del capitale, sotto il profilo economico e politico – si inseriscono in un contesto alquanto negativo, in cui, sostanzialmente, si riscontra una stasi importante che mette in difficoltà la progettualità politica e la sua affermazione concreta. Tuttavia – parallelamente – le economie dell’occidente capitalista sono confrontate con una crisi economica di carattere sistemico che, evidenziando alcune contraddizioni dell’attuale modello di sviluppo, permette – potenzialmente – di ritornare con rinnovata carica sul terreno della proposta politica rivolta all’alternativa sociale. In questo stato di cose se, da una parte, si presenta il decadimento della posizione imperiale degli Stati Uniti, dall’altra si osserva l’emergere di formazioni regionali – i BRIICS – che stanno acquistando progressivamente rapporti di forza a livello internazionale in termini economici e politici. All’interno di questa cornice la questione latino-americana e, segnatamente, la galassia dei paesi aderenti all’AlBA, si presenta come una questione di centrale interesse.
La cultura come motore della trasformazione
Hector Celano
Hector Celano
Il poeta argentino Hector Celano – fondatore del Comitato internazionale per la liberazione dei 5 anti-terroristi cubani (arrestati nel 1998 a Miami dall’FBI e isolati in celle di punizione per 17 mesi prima che il loro caso fosse portato di fronte ad un tribunale: la loro missione negli Stati Uniti era il monitoraggio delle attività delle organizzazioni terroristiche contro Cuba) – ha voluto rimarcare la fondamentale importanza della dimensione culturale all’interno dell’alleanza bolivariana. La costruzione di un progetto come quello dell’ALBA richiede – per forza di cose – l’attivazione di un processo di mobilitazione della società che passi per il cuore e per le emozioni. Tale dinamica, infatti, fortifica e stimola la lotta per la giustizia sociale: parlare direttamente alle genti, coinvolgerle mettendo un bagaglio artistico-culturale si presenta in tal senso quale operazione di fondamentale importanza nel processo di trasformazione sociale. E, tutto ciò, nel contesto latino-americano, si concretizza attraverso la necessità di conferire rinnovata vitalità alla cultura pre-colombiana: si tratta – quest’ultima – di un patrimonio d’inestimabile valore in nessun modo eludibile anche e soprattutto per il fatto che conserva elementi di assoluta attualità: si pensi al ruolo svolto dai valori ruotanti attorno al concetto di Pachamama (in lingua quechuala Madre Terra, divinità venerata dagli Inca e da altri popoli abitanti l’altopiano andino che, nel processo d’integrazione bolivariano, ha trovato rinnovato vigore anche e soprattutto nel connotare il senso più profondo del cambiamento in atto) e anche, per fare un altro esempio, alla celebre promessa che, nel 1781, il capo ribello aymare Tùpak Katari, prima di essere torturato e squartato vivo dai colonizzatori spagnoli, volle fare: “tornerò e sarò milioni”. Ed è proprio con questi riferimenti storici capaci, a distanza di molto tempo, di creare un’efficace mobilitazione identitaria, che la cultura bolivariana vuole dialogare. Peraltro questa operazione di recupero si configura quale contro-tendenza al modello occidental-capitalista di intendere il funzionamento e lo sviluppo delle società umane: un’arma concreta e ad alto valore aggiunto per combattere la pervasività dei grandi mezzi d’informazione eterodiretti e, più in generale, lo sfacelo causato dai disvalori che caratterizzano i modelli di mercato.
Hector Celano – concludendo il suo intervento – ha voluto mettere in evidenza un elemento di centrale importanza al fine di comprendere nella loro essenza i processi di trasformazione sociale: le contraddizioni, la concretezza che sfugge ai modelli teorici. In tal senso – attraverso una formulazione certamente efficace, che risente della sua vena poetica – ha paragonato l’alleanza bolivariana ad un parto doloroso e difficile. Quest’ultimo appunto – che poi si ripresenterà anche nella relazione di Luciano Vasapollo – è apparso come un messaggio chiaro rivolto a tutte quelle realtà politiche-partitiche che si prodigano in una continua critica – che nella maggior parte delle volte è meramente distruttiva – ad una realtà in transizione come quella bolivariana, evidenziandone – all’interno di un discorso de-storicizzante e de-contestualizzante – pecche e limiti. Insomma, una tale alterazione dello stato di cose qual’è la costruzione del socialismo bolivariano – anche pensando al processo rivoluzionario cubano – non può in nessun modo essere pura e immacolata. In stretto collegamento a ciò, il poeta argentino ha infine sottolineato la fondamentale importanza dell’appoggio internazionale al processo che si cristallizza nell’ALBA.
L’ALBA come risultato di una paziente quanto attiva presenza all’interno delle contraddizioni nazionali
Luciano Vasapollo
Hugo Chavez – come figura politica di calibro continentale – non giunge affatto da un momento all’altro, ma, invece, si caratterizza proprio per un lavoro di lungo periodo nella realtà sociale e politica del Venezuela. Nel 1989, nel paese, vi fu una protesta popolare – detta caracazo – contro il caro-vita, nell’ambito della quale la popolazione prese di mira i supermercati: l’esercito uccise 3’000 persone e, in tale delicato frangente, Chavez – all’epoca ufficiale tra le file dell’esercito venezuelano – rifiutò, assieme ad altri colleghi che condividevano l’ottica bolivariana, di scendere in piazza e, di conseguenza, il loro operato venne sottoposto a controllo. Nel 1992 un gruppo di militari bolivariani tentò una ribellione: il sommovimento venne soffocato dall’esercito e Hugo Chavez recluso. Durante il soggiorno in prigione egli – tra gli altri, a testimonianza della rete di contatti di ampio respiro che gradualmente si andò a comporre – incontrerà periodicamente Jorge Giordani, ovvero l’attuale ministro dell’economia e della pianificazione del Venezuela (nonché studioso di Gramsci). Hugo Chavez – che dichiarerà molto più tardi la sua adesione al marxismo – poco dopo l’uscita dalla prigione, inizia l’attività politica con il movimento progressista e, parallelamente a questa esperienza, coglie immediatamente il valore strategico dell’unità continentale (la Nuestra America, appunto). Una visione geo-politica che è al contempo culturale: nell’ambito della narrazione collettiva di questa nuova realtà, per esempio, sarà infatti fondamentale integrare una figura come quella del Libertador Simon Bolivar.
Nel frattempo, in Bolivia, Evo Morales, dato che le miniere in cui lavorava chiusero i battenti, si trasferì in campagna, dove partecipò alla coltivazione delle foglie di coca (le quali – per gli andini – hanno prima di tutto un importante valore intrinseco: esse permettono di convivere con il problema dell’ossigenazione che si riscontra nelle alture e, inoltre, si caratterizzano per un valore proteico e sanitario-farmaceutico molto alto): ivi assumerà la direzione del sindacato dei cocaleros, con il quale porterà avanti numerose battaglie per il progresso. Nel 1998 si presenta alle elezioni, ma raccoglie pochi consensi (1,2%). Il processo di radicamento nelle contraddizioni della realtà boliviana tuttavia non s’interrompe. Importanti, in tal senso, gli sviluppi teorici e pratici che ruotano attorno al concetto del vivir bien (cioè la vita in armonia con la natura: un’altra volta ancora si osserva il recupero della parte più florida delle ancestrali culture continentali), che, oltre ad avere un legame armonico con il sopracitato concetto di Pachamama, si contrappone al vivir mejor di provenienza occidentale. Evo Morales, non a caso, una volta alla guida della Bolivia, dedicherà una parte della costituzione boliviana proprio ai diritti della Pachamama, di cui l’uomo è componente e non, invece, entità indipendente. Questo intenso lavoro creativo quanto concreto a contatto con le contraddizioni della realtà boliviana darà i suoi frutti: presentatosi alle elezioni del 2005, Evo Morales – sostenuto da una confederazione di movimenti e organizzazioni politiche – s’imporrà conseguendo il 54% dei voti.
Il processo bolivariano: un’alternativa continentale
Il 14 dicembre 2004 nasce l’ALBA. Originariamente, tuttavia, questa sigla voleva significare Alternativa Bolivariana per le Americhe: un accordo tra il governo venezuelano e quello cubano nell’ambito del quale, tra le altre cose, il primo avrebbe fornito risorse petrolifere e il secondo personale medico e scolastico (il Venezuela, due anni dopo questo storico accordo, verrà dichiarato paese libero dall’analfabetismo). Nel 2005 – a testimonianza del procedere di questa sinergia – si pone la questione basilare della comunicazione, che è anche e soprattutto ideologico-culturale. La riflessione che fa approdare a questo punto è molto semplice: non ci si afferma concretamente se non si attua una partecipazione attiva nella definizione dei mezzi di comunicazione: Hugo Chavez, in tal senso, proporrà la geniale idea di Telesur, la televisione bolivariana, che si configurerà fin da subito come strumento fondamentale per la diffusione degli ideali e delle parole d’ordine di questa realtà in divenire.
Nel 2005 – come detto – Evo Morales vince le elezioni in Bolivia: nel 2006 porta il suo paese nell’ALBA; nel 2007 il Nicaragua e, nel 2009, l’Ecuador, si aggiungeranno a loro volta. Nel frattempo l’organizzazione assume il nominativo attuale: Alleanza Bolivariana per i popoli di Nuestra America. Tale processo d’integrazione dell’America Latina si configura sostanzialmente in contrapposizione e, di conseguenza, in alternativa all’imperialismo statunitense. Gli accordi economico-commerciali che caratterizzano tale alleanza s’inscrivono in un quadro complessivo i cui principi fondanti – in antitesi ai modelli del profitto e dell’economia di mercato – sono la solidarietà e la complementarietà (per la quale ogni paese membro s’impegna ad offrire quanto di meglio riesce a realizzare). A dettare legge non è certo il paese con il tasso maggiore di produttività.
ALBA e Unione Europea: due processi d’integrazione opposti
In base a quanto appena detto possiamo desumere come l’ALBA non possa in nessun modo essere paragonata all’Unione Europea: siamo confrontati con due processi d’integrazione (tra stati nazionali) completamente diversi e, perdipiù, opposti. L’Unione Europea, infatti, si caratterizza per un’integrazione fondata sui valori di mercato (liberoscambismo e concorrenza al ribasso sui fattori di produzione) in cui non ha rilevanza la spesa sociale: in tale contesto i rapporti interni all’euro-polo a guida germanica (che – fondandosi essenzialmente sull’irrorazione dei prodotti del modello esportatore germanico nel resto dell’Europa – crea squilibri a livelli di bilancia commerciale, sanati tramite il prestito dei paesi in attivo a quelli in passivo a cui consegue l’indebitamento e le conseguenti imposizioni della Troika) possono essere paragonati a quelli che sussistevano tra Stati Uniti e America Latina nel momento in cui il Fondo Monetario Internazionale (FMI) imponeva i cosiddetti piani di aggiustamento strutturale ai paesi indebitati. In teoria – peraltro – una moneta dovrebbe rappresentare la ricchezza creata da un paese: l’Euro, essendo basato sul potere del marco tedesco, è una moneta comune non ponderata sulla ricchezza creata dalle singole nazioni componenti (la capacità produttiva della Germania – infatti – è circa due volte quella italiana): non a caso in Italia – dopo l’introduzione della moneta europea – si è presentato un movimento inflativo (il potere d’acquisto si dimezzerà) determinato dalla rimozione delle differenze nazionali in termini di capacità produttiva. Dal canto suo il Sucre, ovvero una moneta di conto virtuale creata fra i paesi dell’Alba per equilibrare i commerci interni al gruppo e bypassare l’uso del dollaro, parte da premesse certo alternative. La sua virtualità è data sostanzialmente dalla volontà di evitare che la speculazione internazionale agisca in termini di svalutazione. I mercati internazionali sono attualmente dominati dal dollaro statunitense, che si presenta come moneta di riferimento internazionale da tutti utilizzata nell’ambito degli scambi: tale stato di cose soffoca gravemente – attraverso la speculazione su tassi di cambio – coloro i quali la debbono usare come intermediario commerciale. La moneta bolivariana virtuale, in tal senso, evita questo attacco speculativo di carattere monetario e predispone delle partite compensative tra i paesi aderenti. La prospettiva futura va ricercata nel rafforzamento del Sucre e, conseguentemente, nel suo diventare moneta effettiva tendenzialmente immune alla speculazione. Già attualmente con i paesi dell’ALBA commerciano nazioni che accettano il sistema delle partite di compensazione (cioè triangolazioni che sopperiscono alle mancanze interne e premiano le eccellenze). In tal senso la Cina – che in nessun modo è assimilabile a un partner imperialista – è uno dei maggiori partner dei paesi dell’ALBA (si pensi in particolare a Cuba, la quale accoglie molti studenti cinesi e in cambio ottiene strumentazioni tecnologiche e mezzi di trasporti). Nei paesi dell’ALBA – infine – la priorità politica determina le scelte economiche: succede cioè il contrario rispetto alle recenti vicende europee, dove l’economia (e, specificatamente, l’interesse economico delle classi dominanti) comanda sulla politica.
La reazione dei “vecchi padroni” e delle forze reazionarie interne
L’Impero, tuttavia, non sta con le mani in mano e agisce attraverso varie coordinate: si va dalla disinformazione e destabilizzazione interna alle varie realtà nazionali, ai tentativi di colpo di stato (in Honduras, nel 2009, il ribaltamento militare del legittimo governo del Presidente Zelaya – reo di essersi avvicinato all’ALBA – è alquanto emblematico). Si ricordino inoltre gli attacchi ai policlinici cubani in Venezuela e in generale i disordini squadristi che la destra (fortissima, spietata e dotata di contatti internazionali molto importanti) ha causato nel paese durante le elezioni del 2013. Sempre nel Venezuela attualmente governato da Nicolas Maduro si è presentato un fenomeno molto pericoloso che indica come l’asticella dello scontro sia stata alzata a livelli importanti da parte delle forze anti-governative: l’inflazione speculativa. Una quota considerevole dei prodotti alimentari venezuelani vengono illegalmente portati in Colombia: il Venezuela, a questo punto, è costretto a riacquistarli e a rimetterli sul mercato in dollari statunitensi, il cui cambio “in nero” – a causa di un processo speculativo che sfrutta le necessità materiali della popolazione – è in continuo aumento (1:40). Questa preoccupante dinamica rappresenta solo una delle tante operazioni messe in campo dalle forze reazionarie locali – che continuano pervicacemente la loro lotta di classe – in stretta connessione con i potentati economici statunitensi.
La ricerca dell’alternativa sociale: un percorso forzosamente intricato
Insomma, quella bolivariana è una difficile realtà di governo e di transizione. Di fronte alle oggettive limitazioni che caratterizzano l’attuale realtà, l’unico socialismo costruibile è – per così dire – quello possibile, quello concretamente sviluppabile in un ben preciso contesto regionale. Luciano Vasapollo non tergiversa sul significato di questo postulato: date ben precise relazioni di forza a a livello internazionale, continentale e nazionale, il processo bolivariano di transizione al socialismo potrebbe spegnersi anche a causa di un semplice “soffio”, di un nonnulla che inceppi un meccanismo che, per forza di cose, non è ancora dotato di anticorpi tali da essere immune ad elementi de-stabilizzanti.
In tal senso, la storia della rivoluzione cubana, è altamente istruttiva. Il processo rivoluzionario si confrontò con difficoltà oggettive soverchianti fin dall’inizio del tentativo di rovesciamento della dittatura di Batista: chi, infatti, avrebbe mai scommesso su una quindicina di disorientati e malridotti guerriglieri? Ma i problemi non si fermarono certo alla fase rivoluzionaria: Cuba è l’unica fiaccola accesa in America Latina che rischia di spegnersi dopo la caduta del muro di Berlino (l’85% del commercio cubano era con i paesi del COMECON), Cuba soffre atrocemente nel Periodo especial, con un PIL del – 355%. Cuba ancor oggi è un esempio da seguire: ci indica la possibilità di risolvere – mettendo in campo tutte le energie possibili – una situazione oggettivamente intricata, affollata di contraddizioni.
Il cammino bolivariano: un percorso di lungo periodo
Luciano Vasapollo ha voluto inoltre sottolineare come, se da una parte, la dinamica della storia ha dimostrato di non essere caratterizzata dalla linearità (si sono infatti potute osservare – nel corso del tempo – una serie di rotture improvvise), dall’altra non è in nessun modo possibile pensare i processi di trasformazione sociale (ed in generale il corso storico) in termini di età biologica. Un’operazione di questo genere apre a conseguenze molto gravi poiché, sostanzialmente, trasforma la tattica in strategia. Ci vollero 500-600 anni di travaglio per sistematizzare in modo definito il capitalismo, i cui originari abbozzi si ebbero con le prime banche del XII° Secolo e con la parziale assunzione dello statuto di merce da parte dei beni prodotti (dalle prime imprese capitaliste). Nell’arco di questo lungo periodo si posero eventi determinanti: la scoperta dell’America (che permise – spillando una linfa preziosa dalle “vene aperte dell’America” – l’accumulazione primitiva), la rottura politica rappresentata dalla Rivoluzione francese (con cui la borghesia si presentò come classe politica dirigente) e, infine, la prima rivoluzione industriale (che affermò economicamente il modo di produzione capitalista). Furono necessarie numerose generazioni affinché il processo di affermazione del capitalismo potesse avere luogo. È, peraltro chiaro che, se il senso della rivoluzione va ricondotto all’operazione di cambiare tutto ciò che bisogna cambiare per soppiantare un modo di produzione con un altro, non è possibile pensare a questo processo in termini di immediatezza.
Le naturali contraddizioni interne al processo di trasformazione bolivariano vanno inserite – al fine di individuarne l’essenza – nel contesto da cui scaturiscono. Si tratta, in tal senso, di una cornice – quella latino-americana – non certo priva di elementi – a livello politico, economico e culturale – che collidono con l’affermazione di una tale ribaltamento dei canoni di organizzazione della società.
Il socialismo quale graduale erosione delle tracce del passato
L’ALBA non è un laboratorio per la transizione, ma, invece, un’alleanza che sta costruendo concretamente la transizione, cioè il passaggio ad un altro regime produttivo. Costruire il socialismo significa edificare la nuova società sulle “macerie” di quella precedente (che, appunto, proietta le sue “macerie”, quindi elementi – seppur disgregati, non più sistematizzati – che ancora permangono al decadere del sistema di riferimento). La transizione, dunque, si configura come percorso in divenire, che convivrà – per forza di cose – con forme di capitalismo, fino a quando esse saranno “naturalmente” dissolte in conseguenza allo svanire delle condizioni che determinano il loro emergere. Alla luce di tutto ciò è quindi più che normale che, nei paese aderenti all’ALBA, vi siano ancora imprese private: è passato in fondo solo un decennio e – come sappiamo – i processi storici – nel caso concreto quelli relativa all’edificazione di un’alternativa di società – si muovono su una dimensione di lungo periodo in cui gli scatti in avanti – non meditati, non rientranti in una strategia che consideri la transizione in ottica diacronica – sono certamente pericolosi. È inoltre di fondamentale importanza la questione dei rapporti di forza: riconoscere, innanzitutto, che il socialismo – per forza di cose – viene coltivato su di un terreno sfavorevole, costituisce il primo passo per la disposizione di una progettualità politica aderente alla realtà. Luciano Vasapollo ha voluto chiudere la sua relazione ricordando l’importante frase pronunciata da Fidel Castro: “rivoluzione è il senso del momento storico”. Insomma, oggi è più che mai necessario comprendere la necessità di vivere, pensare e lavorare all’interno del proprio periodo storico, evitando di rifugiarsi in una teoresi astratta e non in grado di comprendere che i processi rivoluzionari nascono nel seno di una società che cova profonde contraddizioni. È fondamentale partire dalle condizioni oggettive caratterizzanti il periodo storico in cui ci troviamo a vivere per individuarvi le premesse di una trasformazione sociale e conseguentemente, per strutturare l’agente che possa effettivamente abbozzare la transizione: il senso della trasformazione sociale va fatto emergere dalla realtà concreta con la quale i soggetti sociali si trovano confrontati.

giovedì 12 dicembre 2013

LA SALUTE NON E' IDEOLOGICA

Il 23 dicembre la legge 833 compie 35 anni: è la legge che ha istituito il servizio sanitario nazionale, pubblico e universalistico, una conquista di civiltà che ci stiamo perdendo. Una legge bellissima, che tutto il mondo ci invidia, figlia dell’articolo 32 della Costituzione e sorella della legge 180 sulla salute mentale e della legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza. Tutte del 1978.
Annata speciale, segnata dalle lotte del mondo del lavoro, dei movimenti ambientalisti e dal movimento delle donne, da una cultura critica che ha costruito soggettività individuali e collettive, che ha cambiato il modo di vivere e di pensare di ognuno di noi.

Ma quella legge è stata tradita, da decenni di rimozioni, errori, ritardi. Era la legge del cambiamento, quello vero, non quello della cosiddetta modernizzazione che accetta le disuguaglianze e la devastazione sociale delle politiche di austerità. Quel cambiamento non è mai avvenuto. La salute doveva essere al centro di tutte le politiche, misura per l’equità e l’efficacia delle scelte, perché il diritto alla salute era considerato il diritto “forte” capace di riconoscere e promuovere tutti gli altri diritti: del lavoro, sociali, civili, politici. La salute come bene comune, capace di opporsi alle logiche del profitto e della speculazione

La sicurezza sul lavoro, la tutela dell’ambiente erano compiti precisi dell’istituzione sanitaria pubblica, che doveva controllare, che aveva il primato  della responsabilità di fronte ai cittadini. Oggi? Il rischio è stato monetizzato, è vincente il ricatto “o la salute o il lavoro”, i territori - come la Terra dei fuochi - sono avvelenati.

Oggi il diritto alla salute declina le vecchie e nuove disuguaglianze, quelle del censo e della vulnerabilità sociale, quelle del paese di origine. Sono ormai milioni che rinunciano alle cure perché non possono permettersi di pagare il costo dei ticket. E troppi non accedono alla qualità delle cure, perché non conoscono i servizi, o perché sono stranieri senza permesso di soggiorno, o perchè sono costretti ad aspettare i tempi lunghissimi delle liste di attesa.
Altro che qualità e appropriatezza, parole abusate perché mai realizzate.  La tempestività delle cure (che di queste dovrebbe essere un indicatore) segue ormai il ritmo di in una sanità diventata a due velocità:  intramoenia subito per chi può pagare, tempi biblici per chi non può. 

Il nostro sistema sanitario nazionale è devastato dalla scure dei tagli, dallo sperpero delle risorse pubbliche, dall’illegalità. L’ultimo dato: ogni anno la corruzione assorbe alla sanità oltre 1,5 miliardi all’anno, quanto basta per costruire 5 nuovi grandi ospedali modello.
Invece anche Zingaretti decide di tagliare dal prossimo anno 900 posti letto nella città di Roma, mentre i malati al Pronto Soccorso restano anche 10 giorni  sdraiati su una barella, in condizioni indegne di un paese civile, in attesa di essere ricoverati perché i posti letto non ci sono.
Mentre la programmazione resta una parola vuota e l’integrazione socio sanitaria resta solo un capitolo di relazioni ai convegni, saltano tutti i percorsi di cura, lasciando i malati soli a rincorrere gli sportelli delle ASL.

Allora, basta chiacchiere. Chi doveva agire è rimasto fermo e chi invece doveva restare fermo, si è mosso fin troppo. I tecnici cosiddetti “neutrali” oggi dettano il verbo: la sanità pubblica non è sostenibile, serve il soccorso dei fondi privati. E ormai il refrain è canticchiato da tutti: “Non si può più dare tutto a tutti, bisogna cambiare”. A 35 ani di distanza dalla legge 833, la speranza del cambiamento è stata manipolata da questo furore. Chi parla ancora di 833 è ideologico, chi sceglie i sistemi assicurativi è riformatore.

Per questo non bisogna dimenticare, bisogna far ricordare a chi c’era e far conoscere a chi non c’era; bisogna riprendere un pensiero, valori, principi, le ragioni di quella conquista che restano più che mai attuali, ma più che mai inascoltate.
Per il 14 dicembre, proprio per ricordare questa legge, per difendere la sanità pubblica “Se non ora quando? Sanità” ha lanciato on line una petizione e ha organizzato un flash mob davanti all’ospedale San Camillo (circonvallazione Gianicolense 87, ore 12 ndr). Tutte e tutti in movimento! Questo è il nostro slogan. Donne e uomini, giovani, associazioni, operatori, artisti, pazienti si ritroveranno, ognuno con le proprie storie, ognuno con i propri linguaggi, perché per la sanità pubblica il tempo è scaduto. Se non ora, quando? 

FONTE 

martedì 10 dicembre 2013

'SGRAZIATO DELRIO,il peggior....

Graziano Delrio (Reggio nell'Emilia, 27 aprile 1960)

Questo sindaco è un'offesa  alla  gloriosa e secolare storia laica, progressista e di indipendenza di Reggio E.
Passerà alla storia come colui che per quattro danari ha traghettato l'anima di Reggio E. all'inferno
nel nono girone dell'inferno
Nel video sottostante abbiamo un buon esempio della doppia morale di cui quest'uomo è portavoce,colpevolizza noi come artefici delle nostre difficoltà e nel contempo si netta delle proprie colpe accusandoci di non essere sufficentemente amorali e farabutti,i quali sono i veri "vincitori "in questo sistema marcio e corrotto che lui e quelli come lui hanno contriibuito a creare,dove le persone perbene, capaci ,intelligenti, che provano a fare le cose giuste e nel modo giusto vengono emarginate.
Già proprio come un buon padre di "famigghia"


domenica 8 dicembre 2013

L'OROLOGIO FASCISTA (2) IL PROCESSO NOTAV

Da mesi si sta svolgendo, nel generale silenzio mediatico, il processo “no Tav” nel luogo più simbolico e più distante dalla visibilità: l’aula bunker vicino al carcere Le Vallette.
Da mesi si svolge a ritmi serrati, con un calendario preconfezionato e con la chiara volontà di toccare tutti i record di produttività giudiziaria. L'audizione di centinaia di testi concentrata in un brevissimo lasso temporale, i provvedimenti con i quali il collegio giudicante ha fortemente limitato le difese nel controesame dei testi d'accusa, la gestione delle udienze schiacciata sulle strategie e sugli obiettivi della Procura, rendono evidente la forzatura che si sta esercitando sul processo e la manifesta volontà di giungere a tappe forzate alla sua chiusura con una sentenza chiamata a svolgere un ruolo politico prima che giudiziario.
L’attenzione mediatica, anzichè sulla destrutturazione delle fondamentali garanzie processuali, è costantemente impegnata sulla criminalizzazione di ogni iniziativa (e persino ogni presa di posizione) contro il Tav , con il sensazionalismo ed i toni alti di chi costruisce ponti giudiziari futuri, possibili costruzioni architettoniche anche di tipo associativo, utilizzo di aggravanti per finalità di terrorismo e quant'altro possa concorrere a chiudere la conflittualità sociale nella dimensione giudiziaria e carceraria.
A tale riguardo non dimentichiamo il decreto cosiddetto “antifemminicidio”, convertito in legge ad ottobre, con il quale sono state introdotte nuove norme penalizzanti, evidentemente pensate ad hoc per militarizzare ulteriormente i territori di interesse di “grandi opere”, i cantieri, i luoghi, uffici, depositi o altro, dichiarati di interesse per la pubblica sicurezza.
Perla in questo contesto, arriva persino il divieto di parlare di “concorso morale” con riferimento anche al processo No Tav nel palazzo di giustizia di Torino. Il convegno formativo organizzato dai Giuristi Democratici, programmato per il 2 dicembre, si è dovuto svolgere altrove, ben distante dal Palazzo di Giustizia, a seguito della revoca della sala concessa per l’evento. Di quel processo, nel Tribunale di Torino, si può parlare solo ed unicamente bene, e ne può parlare solo chi inquisisce, non chi difende.
In questo clima e nell’ottica del superamento della dimensione di assedio costruita intorno al processo, si stanno, tuttavia, muovendo in molti: l’appello di protesta per l’inaudito divieto imposto al convegno dei Giuristi Democratici ha raccolto molte ed importanti adesioni, mentre il collegio di difesa si sta attivando in ogni modo per rompere il confinamento del processo nell'aula bunker del carcere ed imporre il suo rientro nelle aule giudiziarie del Tribunale di Torino.
Accendere più riflettori possibili su questa vicenda giudiziaria, sulle torsioni che la caratterizzano e sulle violazioni dei fondamentali diritti degli imputati che si producono al suo interno, è uno sforzo indispensabile, che GlobalProject continuerà a sostenere.
Comunicato dei Giuristi Democratici
L'Associazione Giuristi Democratici di Torino ha organizzato il convegno "CONFLITTO SOCIALE, ORDINE PUBBLICO, GIURISDIZIONE: IL CASO TAV E IL CONCORSO DI PERSONE NEL REATO" (vedi Il programma) e, come usuale, ha richiesto l'utilizzo di un'aula del Tribunale di Torino.
La “Commissione Manutenzione” della Corte d’Appello con una decisione immotivata e senza precedenti ha deciso di negare l'autorizzazione a che il convegno si tenesse all'interno del Palazzo di Giustizia.

La protesta dei GD e dei giuristi.
LETTERA APERTA AI COLLEGHI ED ALLE ASSOCIAZIONI FORENSI TORINESI

Cari Colleghi,
come Vi è noto, numerosissime sono le iniziative e gli incontri promossi presso il Palazzo di Giustizia dal nostro Consiglio dell’Ordine e dalle Associazioni Forensi torinesi nell’ambito della formazione professionale obbligatoria prescritta dall’Ordinamento Forense e nei più svariati argomenti reputati d’interesse per la categoria.

L’associazione Giuristi Democratici di Torino si è negli anni avvalsa di questa opportunità formativa, organizzando in autonomia diversi incontri su temi giuridici vicini alle proprie sensibilità, privilegiando approfondimenti tecnico giuridici in materie anche controverse di interesse pubblico, con scelta di relatori di indubbia competenza ed esperienza.

In aderenza a questa impostazione di dare credito e ascolto ai contenuti, in un clima di costruttivo dialogo tra gli operatori del diritto, abbiamo nelle settimane scorse recepito le istanze pervenute da nostri iscritti ed altri Colleghi riguardanti l’applicazione di istituti di diritto penale a fenomeni di dissenso manifestati collettivamente nella nota vicenda del TAV, come pure inerenti al delicato rapporto intercorrente tra la necessità di gestione dell’Ordine e della Sicurezza Pubblici e l’esigenza di assicurare, anche nelle forme e modalità dell’accertamento di violazioni, i diritti costituzionali di tutti i cittadini.

Era ed è nostra intenzione discutere di contenuti tecnici, non certo dibattere di uno o più processi ed ancor meno stabilire, essendo privi di competenze specifiche, se questa grande opera sia opportuna, utile, economicamente ed ecologicamente compatibile.

Abbiamo dunque richiesto la partecipazione al convegno di tre Professori universitari in diritto e procedura penale, di due Magistrati provenienti dall’Autorità requirente oltre che di Colleghi noti e stimati, come pure di un Rappresentante sindacale della Forze dell’Ordine, domandando e ottenendo del pari, per tempo e secondo consolidata prassi, l’accreditamento dell’evento e il riconoscimento dei crediti formativi al Consiglio dell’Ordine, così come l’autorizzazione, per vero mai negata ad alcuno, di poter a tali fini utilizzare una delle aule esistenti presso il Palazzo di Giustizia.

Con grande dispiacere e preoccupazione abbiamo nei giorni scorsi appreso, dapprima a mezzo stampa (senza che l’associazione ne sia stata direttamente e formalmente informata), di presunte difficoltà alla celebrazione dell’evento, culminate nella revoca dell’autorizzazione all’utilizzo del luogo più naturale e presso il Palazzo di Giustizia, poiché l’argomento del Convegno risulterebbe inopportuno, in quanto inerente, a detta della competente “Commissione Manutenzione” della Corte d’Appello, a processo ivi in corso di celebrazione.

Preso atto di questa tanto sollecitata quanto pretestuosa revoca, confermiamo ai Colleghi interessati la celebrazione del Convegno nei medesimi giorno ed ora pubblicizzati (lunedì 2 dicembre 2013 ore 15-19), non più presso il Palazzo di Giustizia ma presso la GAM di Corso Galileo Ferraris n. 30 in Torino, sempre con il riconoscimento dei crediti formativi già autorizzati dal Consiglio dell’Ordine.

Ci permettiamo di osservare, chiedendo su questo il conforto e la solidarietà dell’intero Foro, che non dovrebbero esistere temi insuscettibili di essere civilmente e liberamente affrontati specie in un Palazzo di Giustizia e che questo discutibile precedente ci porta a ribadire come non possa essere riservata ad altri, che non siano gli stessi Avvocati, la scelta degli argomenti del proprio aggiornamento professionale.

Torino, il 26 novembre 2013
ASSOCIAZIONE GIURISTI DEMOCRATICI TORINO
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Apprendiamo che l’apposita Commissione della Corte di appello di Torino ha revocato l’autorizzazione all’utilizzo dell’aula del palazzo di giustizia già concessa all’Associazione Giuristi Democratici per lo svolgimento di un seminario-convegno sul tema «Conflitto sociale, ordine pubblico, giurisdizione: il caso Tav e il concorso di persone nel reato». La comunicazione della revoca non contiene motivazione ma le notizie fatte filtrare ad arte alla stampa giustificano la revoca con la circostanza che il convegno (in cui sono previste relazioni di docenti universitari, avvocati, magistrati e operatori di polizia) ha per oggetto procedimenti in corso davanti all’autorità giudiziaria torinese.

La decisione ha dell’incredibile ché nessun intervento censorio di questo tipo risulta essere intervenuto dagli anni Settanta ad oggi. E ancor più indigna il fatto che ciò sia avvenuto con riferimento a un tema di grande rilevanza pubblica e in polemica con una associazione forense di solide e radicate tradizioni democratiche.

In un assetto costituzionale in cui la giustizia è amministrata in nome del popolo i palazzi di giustizia sono per definizione la casa di tutti e non il fortilizio di alcuni. È assai grave che ciò sfugga ai vertici della giustizia torinese. La democrazia – per usare una felice espressione di Norberto Bobbio – «è il governo del potere pubblico in pubblico». È sorprendete che ciò venga ignorato da chi esercita la giurisdizione, che proprio dal dibattito e dal controllo pubblico trae alimento e credibilità.

È una brutta pagina per Torino e per la giustizia. Come cittadini e come giuristi riteniamo doveroso denunciarlo pubblicamente auspicando che essa non passi sotto silenzio ma veda, al contrario, la ferma protesta di tutti i democratici.

Ugo Mattei

Livio Pepino

Marco Revelli

Alfonso Di Giovine

Alessandra Algostino

Francesco Pallante

Antonio Mastropaolo